CONOSCERE I DIAMANTI

La composizione dei diamanti

Sebbene il diamante sia la gemma più dura conosciuta dall’uomo, la sua composizione è molto semplice: è comune carbonio, come la grafite delle matite, che miliardi di anni fa le forze elementari di calore e pressione trasformarono in diamante, pietra di eccezionale bellezza e lucentezza le cui caratteristiche principali (le 4 C) combinate tra di loro le conferiscono una straordinaria unicità.

Le 4 C del diamante

Dato che i diamanti hanno un valore molto elevato è essenziale disporre di un sistema di misurazione per compararne le molteplici diverse qualità. A questo scopo, tra gli anni 1940 e 1950, il G.I.A. (Gemological Institute of America) ha sviluppato l’International Diamond Grading System™ e le 4 C del diamante:

  • Il taglio (cut)
  • Il colore (colour)
  • La purezza (clarity)
  • La caratura (carat)

Il taglio (Cut)

Il taglio di un diamante rappresenta la capacità di una pietra di riflettere in modo ottimale la luce e ne determina quindi la brillantezza.

Per avere un’ottimale risposta alla luce (rifrazione, riflessione, brillantezza, scintillio e fuoco) un diamante deve esser tagliato in modo perfetto, rispettando rigidi calcoli matematici che generano i disegni geometrici, le dimensioni e le angolazioni prescritte per le sfaccettature.

Il taglio tradizionale più diffuso è il “round brilliant” (il c.d. “taglio brillante””: un taglio di forma tonda nella sua parte superiore) costituito da 58 faccette, di cui 33 sulla parte superiore (o corona) e 25 su quella inferiore (o padiglione).

La brillantezza ottimale si ottiene quando la corona rappresenta un terzo dell’altezza totale del diamante.

Esistono altri tipi di forme: a goccia, a cuore (59 faccette), navette o marquise (58 faccette), a smeraldo (48 o 50 faccette), ovale (56 faccette), princess (76 faccette), radiante (62 o 70 faccette) ecc.

Senza la precisione e la perfezione del taglio, un diamante perde gran parte della propria bellezza. L’“allure” di ogni esemplare dipende, più di ogni altra cosa, dalla qualità del taglio.

In presenza di un taglio brillante ideale la luce entrata dalla parte superiore di un brillante viene rifratta ad angolo retto per poi uscire di nuovo dalla stessa parte conferendo alla pietra una notevole lucentezza e “”brillantezza””.

Determinante, per raggiungere la perfezione, è la bravura del maestro tagliatore.

Sebbene estremamente difficile da analizzare e quantificare, il taglio di ogni diamante ha tre attributi:

  • brilliance (brillantezza) è la luce totale riflessa
  • fire (fuoco) è la dispersione della luce nei colori dello spettro
  • scintillation (scintillio) sono i flash di luce o “sparkle” che appaiono muovendo il diamante

Per determinare il valore del diamante in relazione alla qualità del taglio ci si riferisce a tre fattori:

  • proportions (proporzioni)
  • symmetry (simmetria)
  • polish (finitura)


Agli inizi del 2005, dopo 15 anni di intense ricerche e test, il G.I.A. ha stabilito il Diamond Cut Grading System per diamanti brillanti nella scala di colore da D a Z, con gradazioni da “excellent” a “poor”.

Il colore (Colour)

Il colore di un diamante è forse la sua caratteristica più apprezzabile, anche ad occhio nudo: più il diamante è bianco e più la luce riesce ad attraversare la pietra con facilità riflettendosi verso l’osservatore.

Le pietre di maggior valore sono quelle totalmente incolori, denominate comunemente “bianche”.

Più il diamante è incolore, più aumenta il suo valore. I diamanti incolori corrispondono soltanto ad una piccola percentuale di quelli estratti, in quanto più del 90% dei diamanti hanno sfumature di base giallastre e brune.

Vi è poi una minima quantità di diamanti dai colori naturali più o meno intensi: giallo, arancione, rosa, verde, blu o rosso, che in virtù della loro rarità possono raggiungere prezzi elevatissimi.

Un diamante di colore G o H (un ottimo colore bianco, molto usato in gioielleria) può valere anche un 50% in più della stessa pietra di colore I a parità delle altre caratteristiche (taglio, caratura e purezza).

Il Marchese non vende diamanti di colore inferiore ad H

Esistono anche altre condizioni che possono influenzare significativamente il costo di un diamante, una di queste è la Fluorescenza

Sottoposti a radiazioni ultraviolette, i diamanti possono dare luogo a fenomeni di fluorescenza, che solitamente si manifestano con colori blu-azzurri più o meno intensi e più raramente, anche gialli, verdi, rosa. E’ importante rilevare la fluorescenza nel diamante, perché l’elevata intensità del fenomeno influenza il colore della gemma.

La purezza (Clarity)

Dato che i diamanti si sono formati nelle profondità della terra, in condizioni estreme di calore e di pressione, ognuno di loro presenta specifici e unici ‘birthmarks’, segni identificativi sia interni (inclusions) sia esterni (blemishes).

La purezza del diamante dipende dall’assenza di inclusioni e imperfezioni.

Il G.I.A. Intrenational Diamond Grading System ha definito una scala di purezza a undici livelli che vanno da FL (flawless) a I3 (included 3).

I diamanti con una totale assenza di “birthmarks” (totalmente privi di imperfezioni puntiformi al loro interno che siano visibili con una lente d’ingrandimento a 10 X) sono una vera rarità e questa caratteristica conferisce loro un valore superiore (generalmente, una volta certificati, sono destinati a divenire diamanti da investimento).

Più frequentemente, i diamanti usati in gioielleria, recano al loro interno alcune minuscole imperfezioni.

Va detto che le differenze di purezza tra pietre simili sono molto difficili da individuare per un non addetto ai lavori e solo un gemmologo riesce, con l’ausilio di una luce bianca particolare e di una lente d’ingrandimento, a stabilire se un diamante sia un Vvs2 ( Very very small inclusions ) piuttosto che un Vs1 (Very small inclusions).

Agli occhi dei più esse possono infatti apparire identiche pur essendovi invece notevoli differenze in fatto di valore.

La caratura (Carat)

Il carato è l’unità standard di misura del peso dei diamanti e di altre pietre preziose, e prende il nome dal seme di carruba che in passato veniva usato come elemento di comparazione.

È solo nel 1913 che gli Stati Uniti per primi, e altre nazioni a seguire, adottano il moderno sistema del “carato metrico” che corrisponde a 0,20 grammi ed è suddiviso in 100 punti.

Anche la caratura di una pietra concorre in modo determinante al valore finale della stessa: il valore di una pietra aumenta in modo più che proporzionale all’aumentare della caratura.

Ciò significa che una singola pietra di un carato (Ct.1.00) ha un valore ben superiore rispetto a 100 pietre da 1 centesimo di carato (Ct. 0.01).

Riferendosi alla caratura dei diamanti di pietre sotto al carato si parla spesso di “”punti””: il punto di carato è la centesima parte del carato (ovvero 0,002 grammi) ed è usato appunto per la misurazione di diamanti molto piccoli.

Ecco quindi cosa indicano le 4 C del diamante.

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